Il libro Partire è breve, arrivare è lungo pubblicato da Agra Editrice per la Fondazione Argentina Altobelli e Uila raccoglie cinque racconti di altrettante scrittrici che hanno vissuto in prima persona l’esperienza dell’emigrazione. Cinque racconti inediti di altrettante scrittrici (l’italo-somala Ubah Cristina Ali Farah, la brasiliana Rosana Crispim da Costa, l’italo-libanese Leyla Khalil, la serba Elvira Mujcic e l’albanese Anilda Ibrahimi) che oggi scrivono in lingua italiana ma hanno in comune il fatto di aver intrapreso lo stesso, difficoltoso percorso di abbandono del proprio Paese per un viaggio verso l’Europa, seguito dalla ricerca dell’affermazione nel lavoro e nella società: è il libro Partire è breve, arrivare è lungo. Racconti dall’altra parte del mare, recentemente pubblicato da Agra editrice per la Fondazione Argentina Altobelli in occasione del decimo anniversario del progetto Uila (Unione Lavoratori Agroalimentari) in R.O.S.A. (Ricerca, Organizzazione, Sviluppo, Azione) e presentato a Roma lo scorso 3 novembre presso la Residenza di Ripetta (v.foto).
Il libro, fortemente voluto dalla Fondazione Argentina Altobelli e promosso dalla Uila, nasce dalla convinzione che la cultura crei integrazione, l’arma più efficace per sconfiggere il radicalismo e il terrorismo: chi ama la lingua, la storia e la letteratura di un paese, ama anche i suoi abitanti. Le storie sono naturalmente diverse tra loro nei tempi, nelle epoche e negli ambienti, nonché nei punti di vista di ciascuna autrice. Se uno infatti racconta il disagio di camminare nelle “scarpe degli altri”, quando da profugo non si ha più nulla e ci si adatta negli abiti altrui, un altro descrive la “lingua del cielo”, consolazione di chi – in questo caso un bambino con la sua mamma – è sommerso dagli orrori della guerra e dal terrore della fuga; e, ancora, troviamo le fatiche dell’integrazione di una ragazzina a scuola o lo scontro tra ricchezza e miseria che si confondono lungo le strettoie dell’emigrazione, le vicende un po’ ironiche, un po’ amare di un’Associazione di mediazione culturale, un “beauty case” simbolo di ciò che si trova di “giusto” e di “sbagliato” nella vita in un nuovo Paese.
Tutte le storie ci presentano donne, ragazze, bambini, mogli, mamme e figli che vivono allo stesso tempo le tragedie che muovono l’emigrazione e le speranze che la animano. Ma “tutti i racconti parlano anche di noi, della compassione per chi soffre e dell’indifferenza alle altrui sofferenze (…) ci chiedono di scegliere tra la sfida del cambiamento e la rassegnazione all’immobilità”, come scrivono Pierluigi Bertinelli (Presidente Fondazione Argentina Altobelli) e Stefano Mantegazza (Segretario Generale Uila-Uil) nella Prefazione al volume. I cinque racconti sono preceduti da una poesia di Edmondo De Amicis intitolata “Gli emigranti” del 1882 e sono seguiti da un racconto di Simona Vinci, vincitrice del premio Campiello 2016, che narra il suo viaggio “al contrario” verso Leros, l’isola dei profughi in attesa di un futuro.
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